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Ultra-Trail du Mont-Blanc 2009, il mio “viaggio”… PDF Stampa E-mail
Scritto da rg   
Sabato 05 Settembre 2009 20:35
38 ore e 25 minuti, 166 km intorno al massiccio del Monte Bianco, 9400 m di dislivello positivo, 2300 atleti al via da Chamonix: ecco il racconto della mia emozionante esperienza.


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La Tête aux Vents: sullo sfondo il Monte Bianco

Ultra-Trail del Monte Bianco, l’UTMB, forse la “ultra” più famosa e dura, almeno in Europa. Ricordo che tre anni fa, quando gli amici del Clan Brianza si erano iscritti a questa gara, non riuscivo a concepire una fatica così grande e così prolungata anche se ammetto di aver provato una certa ammirazione… E così quest’anno eccomi iscritto, con alle spalle l’esperienza di qualche trail più breve e tanti interrogativi.
La gara parte venerdì 28 agosto alle ore 18.30 dalla piazza di Chamonix ma già da mercoledì sono nella bella località francese in compagnia di Stefano. Nelle vie della città c’è un brulicare di atleti che subito ci fa respirare appieno l’atmosfera particolare dell’UTMB. Si scambiano battute e opinioni dell’ultimo minuto con amici vecchi e nuovi, quasi tutti ostentano una malcelata tranquillità, io per primo. Cerco comunque di far tesoro degli ultimi consigli di chi la gara l’ha già corsa: ascolto attento la descrizione del percorso di Stefano e Carlo, ascolto i suggerimenti per l’alimentazione e sui ristori, nonché sul vestiario.
Non vedo l’ora di essere sulla linea di partenza. L’attesa insinua nella testa preoccupanti dubbi: sarò allenato a sufficienza, avrò tutto il materiale necessario, come sarà il meteo?



Partenza da Chamonix


La giornata di venerdì scorre veloce con i preparativi dello zaino e della sacca per Courmayeur. Un bel piatto di pasta mangiato svogliatamente, una piccola pennichella al pomeriggio ed ecco che giunge l’ora di portarsi in zona partenza. Consegniamo la sacca e ora siamo pronti per metterci in “griglia”. Piano piano la piazza si riempie, siamo seduti e, ognuno coi suoi pensieri, ascoltiamo distrattamente la musica. Gli ultimi in bocca al lupo, le ultime frasi, “…se ce la fanno loro ce la facciamo anche noi!”, “finirla non è da extraterrestri!”. L’emozione sfocia in pelle d’oca e in un groppo alla gola quando parte The Conquest of Paradise di Vangelis, la “colonna sonora” dell’UTMB, che fa da sottofondo al conto alla rovescia, 3, 2, 1, via, si parte, comincia finalmente il vero UTMB. Si corre lentamente tra due ali di folla contenute a malapena dalle transenne lungo le vie di Chamonix. Velocemente usciamo dal centro e poi la strada si fa più larga. Dopo un po’ di asfalto ecco finalmente sulla destra comincia la carrareccia che, abbastanza scorrevole, ci porta a Les Houches (1012 m, 8 km). In questa fase non faccio a meno di osservare le attrezzature di chi mi circonda: veramente non ci sono due atleti uguali! Dagli zaini ai bastoncini, dalle scarpe alle calze, tutto è così variegato ed eterogeneo.
A Les Houches c’è il primo ristoro di liquidi e si formano le prime code. Capisco che sto sudando parecchio, forse è l’elevata umidità, forse sono troppo coperto. Ora si comincia a salire, allungo i bastoncini e si sale per piste da sci fino a La Charme (1799 m, 15 km). Prima di scollinare, indosso il gilet antivento, metto i manicotti per le braccia e metto in testa la frontale. Mi mangio anche un panino con la bresaola e lo digerisco giusto in tempo per cominciare la discesa. Devo ammettere che ho bruttissime sensazioni, continuo a sudare abbondantemente, faccio una gran fatica in proporzione al ritmo (lento) a cui sto andando. Ed ecco che la mia testa si riempie di subdoli “fantasmi”: la soluzione del ritiro sarebbe la più semplice, se faccio così fatica adesso che sono solo a 15 km… Ecco che in breve vedo crollare tutta una serie di certezze, l’amore per la corsa in primis. Un po’ abbattuto decido di “trascinarmi” a Saint Gervais (807 m, 21 km) e poi si vedrà. Rimango impressionato dall’atmosfera che trovo al ristoro. C’è tutto il paese che applaude e ci incita. Arrivo qui alle 21.30, faccio il pieno di liquidi, mangio una pasta in brodo bella calda, sgranocchio qualcosa e quasi senza rendermene conto riparto con passo deciso e, soprattutto, con rinnovata convinzione! Qualcosa mi dice che finirò la gara, devo essere io a volerlo.
Procedo con passo tranquillo, so che la prossima salita sarà molto lunga (24 km per 1670 m D+) e rifletto sulla “crisi” che ho avuto: probabilmente ho sudato molto e ho bevuto relativamente poco. Penso anche di aver consumato parecchie energie nervose nell’attesa per la partenza. Ora però è tutto alle spalle, devo pensare solo a far andare le gambe e ad alimentarmi correttamente.
Alle 23.15 arrivo a Les Contamines (1160 m, 31 km), altro ricco ristoro, riempio la sacca del camel-bag e poi via verso Notre Dame de la Gorge dove musica e luci allietano il nostro passaggio. Finalmente adesso la salita si fa un po’ più tosta e poco prima della 1.00 eccoci al ristoro di La Balme (1706 m, 39 km). Qua c’è un grosso focolare che ci riscalda, in effetti ora fa freschino e io indosso il giubbetto in Windstopper. Mangio la solita pasta in brodo bollente e riparto. Ora si può osservare un grande spettacolo: una linea ininterrotta di luci illumina le tenebre della notte, sono le luci delle nostre frontali che mi mostrano parte della salita che ho già fatto e parte di quella che mi sta aspettando.
Questa salita non finisce veramente mai, ora a farmi compagnia ci sono due nuovi elementi: la nebbia e… il sonno. La foschia, insieme con l’oscurità, nasconde un po’ il tracciato e così la salita sembra ancora più lunga. In più le palpebre diventano sempre più pesanti e faccio fatica a tenere aperti gli occhi. Quasi senza rendermene conto transitiamo per il Col du Bonhomme e scolliniamo la Croix du Bonhomme (2479 m, 44 km). Sarò sincero, colpa della nebbia o colpa del sonno, fatto sta che ho davvero pochi ricordi di questa ascesa alla Bonhomme, mi resta la sensazione di una salita non durissima ma che non finisce mai. Indelebile sarà invece lo spettacolo delle centinaia di frontali che, come piccole formiche, salgono in cima alla montagna.
Sono le 2.30 quando transitiamo dal controllo del rifugio e ora si scende, prestando molta attenzione a non perdere i segnali. Con la discesa se ne va per ora anche la sonnolenza. Seguo i consigli e in discesa cerco di non forzare troppo l’andatura. Il sentiero viene illuminato alla perfezione dalla mia Petzl Myo XP. Oltre un’ora di discesa ed ecco finalmente Les Chapieux (1549 m, 50 km). Veloce cambio delle batterie (gratuito!) della frontale ed oltre mezz’ora di sosta sotto il tendone. Qui incontro Melacarne, ce la prendiamo con calma, bevo molto, mangio una pasta in brodo con i fagioli (!!!), rabbocco il camel-bag e via verso la prossima ascesa. Volendo, ci sarebbe la possibilità di dormire, ci sono le brande, ma il sonno sembra passato.
Dobbiamo affrontare un lungo e monotono tratto su asfalto in leggera salita fino a La Ville des Glaciers (1789 m, 55 km) poi finalmente si riprende a salire sul serio. Arrivo al Col de La Seigne (2516 m, 60 km) poco prima delle 6.30 (e sono già 12 ore di gara!), più o meno con le stesse sensazioni della Bonhomme. Ho dei momenti in cui non riesco a tener aperti gli occhi, credo addirittura di aver fatto dei “microsonni” di pochi secondi, infatti ogni tanto inciampo coi piedi e mi ridesto subito. Il colle sembra davvero non arrivare mai, nascosto dall’oscurità e dalla nebbia. L’aria fresca che ci accoglie allo scollinamento mi sveglia definitivamente. Finalmente si scende e scendendo le nuvole si diradano e la vallata viene inondata dalla luce dell’alba. Finalmente posso tornare ad ammirare lo spettacolo del massiccio del Monte Bianco, con i suoi giganti di granito e i suoi impressionanti ghiacciai. Questa superba visione mi accompagna e quasi senza accorgermene raggiungo il Lac Combal (1970 m, 65 km) all’ora di colazione: sono ormai le 7.00.
Siamo in Italia, anche se la lingua predominante è ancora il francese. Ripongo la fida frontale nello zaino, mangio con appetito e riprendo la pianeggiante mulattiera. Per ora sto proprio bene, ho chiaramente un po’ di stanchezza, ma i piedi e le gambe sono ok, ho un po’ di dolori alle spalle a causa dello zaino. Preferisco però non pensare che mancano ancora 100 km, penso solo al chiamiamolo “traguardo intermedio” che mi attende a Courmayeur. Prima però c’è da superare un bel dosso di oltre 400 m di dislivello dove salgo senza forzare ma superando parecchie persone. Mi raggiunge Melacarne e mi fa da cicerone, elencandomi le guglie e le creste del Bianco che è lì in bella mostra davanti a noi. Ecco anche il Pilone Centrale del Frêney, teatro di quella tragedia del 1961 in cui morirono Andrea Oggioni e altri tre alpinisti francesi. Ho bene in mente questa vicenda, in cui si salvarono Walter Bonatti, Gallieni e Mazeaud, perché è narrata nel primo di alpinismo che ho letto (Frêney 1961. Un viaggio senza fine di Marco Ferrari).
Ultimo sguardo al Bianco e, arrivato alla Arète du Mont-Favre
(2435 m, 69 km), la concentrazione è dedicata alla lunga discesa che ci porterà verso Courmayeur. Dopo 4 km veloce sosta al ristoro di Col Chécrouit – Maison Vieille (1953 m, 73 km) dove il caldo si fa sentire e torno a restare in maglietta. Ripartiamo prima su larga strada che poi diventa uno stretto, ripido e polveroso sentiero nel bosco. In breve si perde quota ma le ginocchia certo non ringraziano, anzi cominciano a lanciare qualche lamento. Finito il sentiero ecco l’asfalto e in breve eccoci al centro sportivo di Dolonne: siamo a Courmayeur (1190 m, 78 km) e sono le 9.30 di sabato mattina.


Courmayeur

Ad aspettarmi ed incitarmi ci sono Elena, Davide e Carlo. Ritiro la mia sacca e per prima cosa mi cambio da capo a piedi. I piedi sono ancora in ottimo stato, spalmo ancora un abbondante strato di ossido di zinco e cambio le calze. Le calze ASD Falchi Lecco stanno proprio facendo il loro dovere, comode e avvolgenti come già avevo sperimentato al Gran Trail Valdigne. Anche le mie scarpe Asics Trabuco sono comodissime tanto che decido di non cambiarle e di tenerle fino all’arrivo. Metto calzoncini corti, maglietta e cappellino in previsione della giornata calda e soleggiata che mi attende.
Finalmente ora posso sedermi e mangiare un bel piatto di pasta al pomodoro. Bevo tanto tra Coca-Cola e acqua. Con me la fida tazza metallica: è infatti obbligatorio avere un bicchiere al seguito perché ai ristori non ci sono bicchieri di plastica. Un’ottima scelta a favore dell’ambiente direi. Riempio come al solito il camel-bag e riparto in compagnia di Melacarne e guardo l’orologio: beh, ce la siamo presa con calma, quasi un’ora di sosta. Ma va bene così, la strada è parecchio lunga, ancora 88 km ci separano da Chamonix (un Valdigne praticamente…), e ora arriva la parte forse più dura.
Con calma ci portiamo all’inizio della salita in modo da digerire bene. Ora ci attende la breve ma ripida salita al Rifugio Bertone, tutta sotto il sole. Conosco la salita perché fa parte del percorso dell’ArrancaBirra. Saliamo regolari, senza forzare, su per le numerose serpentine. Arriviamo al Rifugio Bertone (1989 m, 82 km) che è quasi mezzogiorno. Il caldo si fa sentire, mi rinfresco la testa e bevo abbondantemente. Lasciamo il ristoro, riprendiamo a salire per un breve tratto e comincia il lunghissimo traverso che porta al Rifugio Bonatti. Sono quasi 8 km di sali e scendi dove si può corricchiare ma ormai le gambe cominciano ad essere stanche. Ormai la metà della strada è stata fatta ma il pensiero che mancano ancora tanti chilometri un po’ mi spaventa. Più di prima cerco di pensare ai singoli traguardi intermedi, i ristori ad esempio, piuttosto che all’arrivo.
Alle 13.30 raggiungiamo finalmente il Rifugio Bonatti (2020 m, 90 km) e anche qui c’è il solito rito: mi bagno la testa, mangio un bel piatto caldo di pasta in brodo e abbondo con i bicchieri di acqua e Coca-Cola. Fino ad ora ho mangiato quasi ed esclusivamente ai ristori, ho mangiato solo 4 e 5 barrette energetiche della mia dotazione, qualche pastiglia di sali minerali e qualche bustina di fruttosio. Sto invece bevendo parecchio e con regolarità mi idrato con acqua e sali minerali attraverso il camel-bag, mio fedele compagno di viaggio che tengo nello zaino insieme al materiale obbligatorio (benda, telo termico e frontali) e all’abbigliamento più pesante. Un carico di circa 5 kg quello che mi sto portando sulle spalle.
Si riparte in leggera salita e poi discesa fino ad Arnouva (1769 m, 94 km). Altra veloce sosta e ora l’obbiettivo è il Grand Col Ferret. E’ davvero una bella salita, le gambe girano bene e supero tante persone. Ora si è alzato un gran vento che soffia con forti raffiche. Il tempo scorre veloce e le tende gialle della North Face indicano il Gran Col Ferret (2537 m, 99 km), Cima Coppi della gara che raggiungo alle 16.15 circa.
Il vento è veramente fastidioso e anche fresco: mi copro a dovere e comincio la discesa, entrando così in Svizzera. La prossima tappa sarà a La Fouly, a quasi 9 km. La discesa è veramente lunga e diventa ancora più pesante perché ora faccio veramente fatica a correre. Oltre a qualche fastidio alle ginocchia ora sono subentrati dei dolori fissi ai muscoli tibiali anteriori di entrambe le gambe. Cerco quindi di scaricare parte del peso sui bastoncini e alterno tratti al passo con tratti in cui cerco di corricchiare.
La discesa è veramente lunga ma quando arrivo sull’asfalto capisco che manca poco al ristoro. Mi vengono incontro Carlo e mio fratello Davide. Alle 18 sono a La Fouly (1593 m, 108 km) accolto da Elena prima del ristoro. Sosta di 10 minuti con rabbocco camel-bag, pieno di Coca-Cola, pasta in brodo con pane e qualche cracker e via. Do l’appuntamento ai miei sostenitori a Champex-Lac.
La discesa non è però finita anche se ora la strada è larga e con poca pendenza. Continuo ad alternare tratti con passo veloce ad altri di corsetta leggera. Sono ormai 24 ore che sono in giro ma il tempo sta volando e guardo pochissimo l’orologio. In località Praz de Fort (1151 m, 123 km) finisce finalmente la discesa. Dopo un tratto pianeggiante su asfalto entriamo nel bosco percorrendo un sentiero costellato da insidiose radici. Si riprende finalmente a salire e poco prima che calino nuovamente le tenebre raggiungiamo Champex-Lac (1477 m, 123 km): sono le 20.40.
Qua ci accoglie un grosso tendone riscaldato oltre ad Elena, Davide e Carlo che mi hanno portato il vestiario per la notte. Metto quindi il fuseaux lungo, la maglia a manica lunga, il giubbetto Windstopper e rimetto in testa la frontale. Mangio due piatti di pasta in brodo più pane e cracker.
Quando esco dal tendone vedo che sono passati quasi 50 minuti ma ora i miei pensieri sono rivolti alle prossime tre salite, le più dure a detta di molti. Come al solito mi impongo di pensare solamente alla prossima tappa, che in questo caso sarà in cima alla Bovine, anche se non faccio a meno di fare la considerazione che mi mancano 43 km, praticamente uno “Scaccabarozzi” (il Sentiero delle Grigne). Sono quasi impaziente di “attaccare” la Bovine ma c’è un lungo tratto di avvicinamento prima lungo la riva del lago, poi in leggera discesa e poi in piano. In pianura e in salita le gambe vanno alla grande. Ad un certo punto svolta a sinistra e comincia l’ascesa della Bovine. In effetti è come mi è stata descritta: è parecchio dura, con sassi più o meno grandi da scavalcare, fiumi da attraversare e in qualche tratto ci si aiuta con le mani per avanzare. Qua si vede gente sofferente, che si ferma con la testa tra le braccia, allo stremo delle forze. Io salgo abbastanza agile, mi trovo proprio a mio agio e quasi mi stupisco quando realizzo che la salita è già finita. Ora c’è un lungo traversone in piano dove torno ad indossare qualcosa di più pesante. Fa un freddo cane, sono quasi tentato di mettere oltre alla giacca in Goretex anche guanti e fascia. Arrivo alla Bovine (1987 m, 132 km) alle 23.40 e un the caldo è proprio l’ideale.
La seguente discesa a Trient è forse la peggiore per me: sono circa 6 km ma sembra non finire mai, in più bisogna fare attenzione alle numerose radici che sembrano essere messe lì apposta a fare lo sgambetto alle mie gambe stanche. Si scende, si scende, finalmente si scorge qualche luce nella valle ma ne passa ancora di tempo prima che raggiungo il ristoro di Trient (1300 m, 138 km), dopo 1h40’ di penosa discesa con dolori ai soliti tibiali.
Mi concedo una sosta di un quarto d’ora per gustarmi la solita pasta in brodo. Devo avere proprio una brutta faccia. Una volontaria mi chiede “ça va?” e io non faccio che rispondere “che cojoni!!!” ma lei non capisce e con un gran sorriso ripete “bon courage!”. Questa discesa mi ha veramente spezzato e mi consola il fatto che ne mancano “solo” due all’arrivo. 
Riparto coperto di tutto punto, fuori fa davvero freddo ma poco dopo devo spogliarmi perché la strada si impenna subito. Davvero dura anche questa salita, diversa dalla Bovine ma non meno dura. Si sale per un largo sentiero con pendenze notevoli. Anche qui vado bene, sarà che in discesa sto andando talmente piano da arrivare a valle bello riposato, fatto sta che su queste ultime salite mi sto sfogando, assaporando appieno il gusto di camminare in questa fresca notte. E’ in questi momenti che assapori veramente l’essenza dell’UTMB, fai fatica ma sei contento di essere qui.
Anche i 700 m di dislivello di questa salita finiscono e alle 3.00 sono a Catogne (2011 m, 143 km).
Purtroppo si torna a scendere, indosso di nuovo la giacca e mi trascino a valle. Devo ammettere che va un po’ meglio rispetto alla discesa della Bovine, forse perché il sentiero è un po’ più agevole. Riesco a trovare il passo giusto, lento ma regolare. Cerco di prestare la massima attenzione a dove metto i piedi, la paura è di cadere o di prendere qualche distorsione alle caviglie. Sarebbe assurdo doversi ritirare per una banale disattenzione. E’ forse questo timore di buttare all’aria tutti i chilometri finora fatti che mi fa correre un po’ contratto. Ma mi va benissimo così, il dolore alle gambe è sopportabile, il tempo finale non mi interessa, mi interessa solo arrivare a Chamonix tutto integro.
Questi pensieri e altri mi accompagnano fino a Vallorcine (1260 m, 148 km) dove transito alle 4.30 circa. Carlo mi ha detto che questo ristoro è molto importante, prima della lunga salita successiva. In effetti sto bene, non ho avuto mai problemi di stomaco e quindi continuo a mangiare la solita pasta in brodo chaud. Saluto Carlo, ci si vede all’arrivo!
Ora ci aspetta un lungo tratto di avvicinamento alla salita, buono per la digestione. Il mio sguardo cade sulla montagna sulla mia destra dove vedo alcune piccole lucine. Sarà la prospettiva particolare ma mi sembra che il tratto che mi aspetta presenta una certa “verticalità”…
Ancora qualche minuto ed eccomi all’attacco dell’ultima salita. Dall’inizio l’ascesa mi sembra un ottimo mix tra la Bovine e Catogne, tratti sassosi alternati a “drittoni” molto ripidi. Salendo salendo è anche peggio, ora capisco che i tratti che vedevo dal basso sono in effetti belli “verticali” con ripide serpentine alternate a gradini di legno che fanno guadagnare quota velocemente. Comincia pure ad albeggiare e con la luce torna ad apparire anche Sua Maestà il Monte Bianco.
Questo tratto è davvero spettacolare, si aggirano delle fasce rocciose e la vista sul Bianco è davvero impagabile. Sulla sinistra ecco spuntare anche la parete nord delle Grandes Jorasses con quello Sperone Walker teatro della grande impresa di Riccardo Cassin nel 1938.


Panorama da La Tête aux Vents: Grandes Jorasses e Monte Bianco


Accompagnato da questo superbo panorama e da questi giganti di granito illuminati da primo sole del mattino, raggiungo un ampio pianoro che mi conduce a La Tête aux Vents (2130 m, 155 km) poco prima delle 7.00. Breve sosta, giusto il tempo di scattare un paio di foto con il cellulare e immortalare questo splendido panorama.
Riparto continuando il traverso da dove si può vedere in fondo alla valle Chamonix. Superiamo un tratto attraverso dei massi di granito che mi riporta al Trofeo Kima sul Sentiero Roma dello scorso anno. Un sorriso mi illumina il viso.
Dopo tre quarti d’ora eccomi a La Flégère (1877 m, 159 km), ultimo ristoro prima dell’arrivo. Mi concedo gli ultimi 5 minuti di sosta e dopo il dosso sopra il rifugio, mi butto a capofitto giù per la discesa lungo la pista da sci. Comincia a far caldo e mi alleggerisco un poco. Sarà l’arrivo che si avvicina sarà il sentiero decisamente corribile, fatto sta che cerco di dimenticare i miei dolori alle gambe e corro verso valle, non vedo l’ora di arrivare.
Chamonix è sempre lì, sembra che il sentiero non perda mai quota e così rallento un attimo. Ormai la testa va per la sua strada, affiorano ricordi ed emozioni. Cerco di non rilassarmi troppo, mi rilasserò solo quando avrò tagliato il traguardo. Finalmente la strada scende con più decisione e torno ad aumentare l’andatura, per la gioia delle unghie dei miei due alluci. E’ però incredibile come i dolori alle gambe diventino ora più sopportabili.
Eccomi d’improvviso a calpestare l’asfalto, vedo in lontananza un gilet arancio a me noto, è quello dei Falchi. Riconosco Stefano, che si è dovuto purtroppo fermare a Courmayeur per problemi di stomaco. Mi fa i complimenti ed in cuor mio penso “hai ragione, non è una cosa da extraterrestri finirla!”.
Mi godo le ultime centinaia di metri in paese in piena spinta, la gente applaude, riconosco i posti in cui ho passeggiato qualche giorno prima. L’emozione si fa via via più intensa e un nodo enorme mi stringe la gola. Riesco a stento a trattenere le lacrime. Eccomi in centro, l’ultima curva, ecco lo striscione, bastoncini al cielo: è fatta!!! Sulle note di
The Conquest of Paradise taglio il traguardo e ora non riesco più a trattenere le mie lacrime di gioia. Cerco di non versarne troppe per il timore che con esse scorrano via anche le emozioni che invece non voglio perdere. Vengo abbracciato da Elena e da mio fratello, è stata dura ma ce l’ho fatta. Sono quasi le 9.00 di domenica mattina. 
 


Arrivo a Chamonix


38h25’21”, tanto è durato il mio “viaggio” intorno al Bianco. Viaggio? Non riesco a trovare un altro termine appropriato. Chiamare gara l’UTMB sarebbe troppo riduttivo. Forse è gara per chi lotta per le prime posizioni. Per me è stato un lungo e interminabile viaggio, tremendamente faticoso ma altrettanto emozionante. E’ stato un viaggio che mi ha permesso di conoscere i miei limiti, mi ha fatto conoscere posti incantevoli, mi ha permesso di conoscere nuove straordinarie persone. E’ stato un viaggio in cui la testa prevale sul corpo, il dolore e la fatica vengono superati dalla volontà di perseguire un obbiettivo, anche a costo, in alcuni momenti, di esercitare violenza sul nostro corpo. Infatti per me è una forma di violenza continuare a correre anche se si ha sonno o se i muscoli invocano una tregua.
Ed è forse qui che si crea una sottile linea da non separare, bisogna comunque ascoltare i segnali e cercare di non superare il limite che può portarci al ritiro. E anche qui entra in gioco la testa: la lucidità ed un briciolo di razionalità devono sempre prevalere.
Ma è comunque impressionante come in una gara del genere si possano sperimentare le nostre potenzialità. Dal punto di vista fisico, forse alcuni allenamenti e le altre gare “lunghe” possono darci qualche indicazione. Dal punto di vista mentale penso che nulla sia paragonabile. Dentro quella testa che ci portiamo in giro tutti i giorni sopra le spalle abbiamo tante di quelle risorse che neanche ci immaginiamo. Oggi ne ho avuto conferma.
E sicuramente l’UTMB mi ha arricchito. Ha preteso senza dubbio duri allenamenti e parecchi sacrifici ma mi lascerà per sempre dei ricordi incancellabili e delle emozioni piacevolissime. 
Dopo l’arrivo mi è scappata la frase “non so se lo correrò ancora” ma ora, ripensandoci bene, …

Riccardo Ghislanzoni

PS: Scusate se mi sono dilungato ma le cose da raccontare erano veramente tante, lunghe 166 km! Qualcosa mi sarà sfuggito e qualcosa, concedetemelo, lo terrò solo per me.






 


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